Le Carceri : i ‘sogni’ di Piranesi reinterpretati

Silvia Gavuzzo-Stewart
Silvia Gavuzzo-Stewart
Storica dell'arte, laureata a Roma con il Prof. Argan
(1968-69, tesi Problemi piranesiani), già docente di Storia dell’Arte nell’Università di Reading (UK).
Nel 1999 è uscito il suo libro Nelle Carceri di G. B. Piranesi.

'...trattasi della prostituzione delle nostre Arti tentata da chi aveva implorata ogni forza per essere ammesso con Voi a professarne la promozione; delinquenza che nella vostr’Accademia debb’essere la capitale.'

La prima idea di un carcere Piranesi l’aveva mostrata già all’età di 23 anni nella Prima Parte di Architetture e Prospettive del 1743. Nella didascalia di questa incisione (fig. 1) si legge: ‘Carcere oscura con Antenna pel suplizio de’ malfatori’. Qui vediamo un’immagine di una struttura solida con forti contrasti di luci e di ombre, costruita con grandi blocchi e molteplici archi, facilmente riproducibile, come in effetti fu, come scena teatrale. Questa tavola si inserisce tra le altre dell’opera della Prima Parte per formare una città ideale dove è necessaria la punizione e la giustizia.

Invenzioni Capric di Carceri, frontespizio, 1750
Fig. 2 - G. B. Piranesi, Invenzioni Capric di Carceri, frontespizio, 1750.
Carceri d’invenzione, frontespizio, 1761
Fig. 3 - G. B. Piranesi, Carceri d’Invenzione, frontespizio, 1761.

Nel 1750 Piranesi pubblica per la prima volta l’originalissima serie di stampe delle Carceri. Ha come titolo Invenzioni Capric di Carceri (fig. 2), titolo sconcertante che unisce l’idea del capriccio con quella del carcere. Questa edizione, formata da quattordici tavole, è caratterizzata da un tono chiaro, da un segno leggero eseguito come per disegni schizzati velocemente, con grande libertà, ispirati a motivi veneziani e romani e ad architetture di diverse epoche. Anche queste tavole, come la ‘Carcere oscura’, sono spesso ritenute dagli studiosi ispirate a scenografie per il mondo del teatro.

La seconda edizione delle Carceri (fig. 3) terminata da Piranesi nel 1761, è quella a noi più nota. È composta da sedici tavole, due delle quali, la seconda e la quinta, sono state aggiunte a quelle già esistenti le cui matrici sono state tutte rielaborate; in particolare quella della tavola XVI tanto da sembrare anch’essa una nuova tavola (si veda fig. 4 in basso). Questa è la serie di stampe che è stata associata già in epoca romantica da Thomas de Quincey (1821) ai sogni, agli incubi e alla produzione di una mente delirante. Ancora oggi ci intriga e affascina per la sua segretezza e l’impatto emotivo che suscita è talmente potente da rendere difficile una sua analisi razionale (fig. 5).

Il titolo della seconda edizione è cambiato in Carceri d’Invenzione (fig. 3). L’allusione al ‘capriccio’ è significativamente eliminata, ma rimane il riferimento all’invenzione. Invenzione che vuol dire trovare nella mente immagini ideate, processo contrapposto a quello di imitazione e caratteristico dell’attività dell’architetto. Piranesi nel titolo del nuovo frontespizio allude alla sua qualifica di architetto veneto che gli stava così a cuore. Nel contesto della polemica allora in corso, sui meriti dell’antica civiltà romana, l’architettura di questi spazi fantastici assume una nuova importanza con interessanti riferimenti all’architettura etrusca . L’aggiunta degli strumenti di tortura e soprattutto l’ulteriore lavorazione delle matrici contribuiscono a produrre quell’effetto minaccioso e cupo caratteristico di questa nuova versione delle Carceri che ha ispirato a Victor Hugo quell’espressione poetica, Le noir cerveau de Piranèse, (Il cervello nero di Piranesi), ripresa poi da Marguerite Yourcenar (1962) nel suo noto saggio sulle Carceri: Le cerveau noir de Piranèse.

Piranesi, Carceri d’Invenzione, Tavola II
Fig. 6 - G. B. Piranesi, Carceri d’Invenzione, tav. II.
 Carceri d’Invenzione, Tavola XVI
Fig. 5 - G. B. Piranesi, Carceri d’Invenzione, tav. XVI, secondo stato.

Per lungo tempo nella loro interpretazione non si è fatta alcuna distinzione tra le due diverse edizioni delle Carceri come se fossero frutto di una medesima ispirazione. Ma da un confronto tra le Invenzioni Capric e le Carceri d’Invenzione notiamo che Piranesi ha numerato queste ultime per la prima volta ed ha così fissato un ordine di sequenza delle tavole che non esisteva nella prima edizione. Questa numerazione assume una particolare importanza tanto da far pensare che Piranesi abbia introdotto un elemento narrativo con una forte corrispondenza di temi tra la prima e l’ultima tavola, tra le quali ora sono comprese tutte le altre . Inoltre queste due tavole contengono delle scritte latine. La tavola II (fig. 6), la prima dopo il frontespizio, e la tavola XVI (fig. 5), l’ultima, rielaborata così drasticamente dalla prima edizione, iniziano e concludono temi complessi di grande rilevanza per Piranesi come per esempio quello dei sepolcri.

Ometto qui l’analisi della tavola V, anch’essa , come la II, aggiunta nell’ultima edizione, perché pur presentando elementi narrativi, immagini eloquenti di barbari, prigionieri di soldati romani ed altri interessanti dettagli, a differenza delle tavole II e XVI non contiene alcuna scritta. Infatti per lo scopo di questa indagine le parole offrono un riferimento più affidabile delle sole immagini. Per poter apprezzare le novità concettuali presenti nelle Carceri d’Invenzione basterà prendere in esame proprio queste due tavole, la prima dopo il frontespizio e l’ultima.

Qui è evocato un mondo inquietante e doloroso con riferimenti a punizioni atroci, alla morte ed ai sepolcri che ne conservano la memoria. Accanto alle rievocazioni anticheggianti possiamo notare, a ben guardare, personaggi vestiti con abiti contemporanei a quelli di Piranesi; tutti motivi mancanti nella prima edizione e che emergono in questa con una foga inusitata anche nell’uso degli strumenti per l’incisione .

Punto particolarmente rilevante, in entrambe queste tavole sono introdotte scritte latine. Le loro fonti sono state individuate da tempo: derivano dagli storici romani Tacito nella tavola II e Livio nella tavola XVI. Sempre in latino nella stessa tavola XVI, un’altra scritta sulla lapide tombale IMPIETATI ET MALIS ARTIBVS dedicata all’empietà ed alle male arti, non è una citazione ispirata da antichi scrittori latini, ma è da attribuire allo stesso Piranesi ed ha, come vedremo, un tono sinistro fortemente polemico (fig. 8).

Queste scritte non sono messe a caso ma, scelte con cura, seguono una precisa linea di pensiero che ha le sue origini qualche tempo prima della rielaborazione delle ultime Carceri, in altri lavori di Piranesi come le Antichità Romane del 1756 (fig. 9) e il libello polemico delle Lettere di Giustificazione scritte a Milord Charlemont e ai di lui Agenti di Roma dal Signor Piranesi Socio della Real [sic] Società degli Antiquari di Londra intorno la Dedica della sua Opera delle Antichità Rom [...] fatta allo stesso Signore ed ultimamente soppressa. In Roma MDCCLVII (fig. 10). Qui vediamo una forte connessione con le Carceri. Piranesi sta seguendo il medesimo genere d’ispirazione ed un’analisi di queste opere aiuta a svelare gran parte della segretezza delle Carceri d’Invenzione.

Infatti nelle Antichità Romane e nelle Lettere di Giustificazione vediamo anticipati i nuovi motivi introdotti nelle due tavole delle Carceri. Per esempio quello del patronato delle arti, dei sepolcri e delle sepolture ignominiose, come anche quello delle citazioni da famosi scrittori latini. Con queste Piranesi, rivolgendosi all’autorità degli scrittori antichi, ribadisce l’autorevolezza delle sue proprie idee . Inoltre, per quanto riguarda le immagini, vediamo nelle vignette che accompagnano il testo delle Lettere di Giustificazione, come per esempio quella con l’allegoria del Tempo che scopre la Verità, la partecipazione di personaggi moderni vestiti in abiti settecenteschi, immersi in contesti anticheggianti come in queste due tavole delle nuove Carceri (fig. 11).

Le antichità romane frontespizio, 1756
Fig. 9 - G. B. Piranesi, Le Antichità Romane, 1756, frontespizio con dedica a Lord Charlemont.
Lettere di giustificazione frontespizio 1757
Fig. 10 - G. B. Piranesi, Lettere di Giustificazione, frontespizio, 1757.
Lettere di Giustificazione, il Tempo che scopre la Verità
Fig. 11 - G. B. Piranesi, Vignetta Il Tempo che scopre la Verità, in Lettere di Giustificazione, 1757.

Le Antichità Romane, le Lettere di Giustificazione e Lord Charlemont

Per poter spiegare la causa dei nessi esistenti tra le Carceri, le Antichità Romane e le Lettere di Giustificazione bisognerà brevemente riferirsi ad esse.

I quattro volumi delle Antichità Romane procureranno a Piranesi un applauso e una stima internazionali come la sua elezione a membro onorario della Società degli Antiquari di Londra (1757). D’altra parte saranno anche la causa di un’amarissima disputa intorno alla sponsorizzazione di quest’opera. Il nobile, giovane e ricco Lord Charlemont, la cui promessa di sostenere la prestigiosa opera non era stata mantenuta, ed i suoi agenti, tra i quali Piranesi accusa di malversazioni l’odiato John Parker, diventano il bersaglio di una feroce vendetta da parte di un Piranesi che si sente oppresso e svilito nella sua produzione artistica e offeso nel suo onore che va vendicato.

In una lettera del 20 giugno 1757 indirizzata a Lord Charlemont ed al Pubblico Piranesi scrive:

Se morrò in questo termine [scadenza di quattro mesi data a Charlemont per rispondere alla sua lettera], mia moglie , i miei figli, i miei amici, o chi porrà il mio nome fra quei de’ Professori, son tenuti a dar questo ragguaglio al Pubblico a nome mio, perché ne anderebbe della mia riputazione non facendolo; e lascerò un Legato considerabile a chi s’incaricherà di farlo, perché credo di non poter mai far troppo per assicurare un onore che mi preme più della vita...

Le Antichità Romane sono pubblicate il 15 maggio 1756 e una settantina di copie dedicate a Charlemont cominciano a circolare. Poco dopo però Piranesi, dubitando fortemente del supporto di Lord Charlemont, che aveva lasciato Roma agli inizi del 1754 e non dava segni di interessarsi più alla sua opera, gli indirizza una lunghissima lettera datata agosto 1756. Lettera piena tra l’altro di recriminazioni nella quale sostanzialmente Piranesi chiede a Charlemont se davvero vuole ancora la dedica o vuole che sia rimossa. Cosa che in effetti Piranesi farà raschiandola e cancellandola gradualmente dalle matrici (fig. 12). Inoltre egli chiede anche con insistenza a Charlemont di fare giustizia contro ‘le male azioni’ di John Parker (Lettere di Giustificazione, p. XII ).

Lettere di Giustificazione, tavola VII
Fig. 12 - G. B. Piranesi, Lettere di Giustificazione, tav. VII che mostra le rasure dal rame delle dediche originarie a Lord Charlemont.

Piranesi non avendo ricevuto risposta né a questa né alla seguente lettera del febbraio 1757 e sospettando che le lettere da lui indirizzate potessero essere intercettate dagli agenti di Lord Charlemont, decide di stamparle e d’includerle nelle copie delle Antichità Romane. In questo modo, come dice, sarà sicuro che anche Charlemont ne verrà presto a conoscenza.

Queste due lettere ed una terza inviata da Piranesi il 31 maggio 1757 all’abate Peter Grant, altro agente di Charlemont, provocano l’intervento del governatore di Roma. A Piranesi si ordina di non pubblicare parole o immagini infamanti contro Lord Charlemont e l’abate Grant . Ma malgrado le minacce di punizioni corporali e della prigione in caso di disobbedienza, Piranesi pubblica queste tre lettere nel libello delle Lettere di Giustificazione. Le tre lettere, con le lunghe note esplicative aggiunte da Piranesi, pubblicate segretamente a Firenze con il sostegno dell’influente Mons. Bottari e introdotte furtivamente a Roma costituiscono il testo delle Lettere di Giustificazione. Qui si chiariscono le cause che avevano portato Piranesi alla soppressione delle dediche delle Antichità Romane. Il libello è corredato dalle vignette satiriche e dalla riproduzione in piccolo delle grandi tavole delle dediche delle Antichità Romane rivolte in origine a Lord Charlemont e poi cancellate.

Dalle vignette delle Lettere di Giustificazione scaturiscono allusioni criptiche e un’atmosfera di segretezza, come nelle ultime Carceri. Piranesi però, uomo del Settecento che si rivolge a persone imbevute di cultura classica, come Charlemont, Parker, l’abate Grant e Murphy, tutore di Charlemont, poteva ben supporre che le sue frecciate avrebbero raggiunto di sicuro le sue vittime. E che in questo avesse ragione lo vediamo dai commenti interpretativi delle vignette delle Lettere di Giustificazione fatti dalle sue vittime, in particolare da Parker che nella sua corrispondenza ne spiega il significato allusivo capendo bene anche il latino citato da Piranesi .

Parker riconosce se stesso e gli altri agenti di Charlemont nella vignetta allegorica del Tempo che scopre la Verità (fig. 11). Egli si vede mentre per raggiungere la ‘Verità’ deve abbassarsi umilmente, seguito da Murphy e Grant, per passare sotto l’asta che allude alle Forche Caudine di cui parla Livio nelle sue storie .

Parker nota anche che sulla tomba onorifica che in origine Piranesi gli aveva dedicato nelle Antichità Romane sulla Via Appia, la regina viarum, è cambiato il testo dell’epigrafe (fig. 13). Ora si legge che il suo corpo è stato traslato nell’umilissimo Campo Esquilino, luogo di sepolture ignobili, come descritto dal poeta Orazio. E questo è confermato nella vignetta finale dove Piranesi mostra il Campo Esquilino ed una tomba dedicata a Parker ed a tutti gli altri agenti di Charlemont. I loro nomi sono stati raschiati via dalla pietra tombale come in una damnatio memoriae, ma sono rimaste le loro iniziali perché i personaggi siano identificabili (fig. 14).

Lettere di Giustificazione, Tavola II
Fig. 13 - G. B. Piranesi, Lettere di Giustificazione, tav. II, ‘Secondo Frontespizio’, ricostruzione fantastica della Via Appia.
Lettere di Giustificazione, Campus Esquilinus
Fig. 14 - G. B. Piranesi, Lettere di Giustificazione, Campus Esquilinus.

Tavola XVI delle Carceri

In queste vignette delle Lettere di Giustificazione vediamo quella dissacrazione sarcastica del motivo dei sepolcri che, già introdotta nelle Antichità Romane e, con un crescendo nelle Lettere di Giustificazione, raggiunge il culmine nella tavola XVI delle Carceri. Qui in modo prominente si erge una tomba anonima, ma con un riferimento a due individui in essa effigiati, la scritta latina ha un significato sinistro, dedicata come abbiamo visto, all’empietà ed alle mali arti (fig. 8). Esattamente il contrario di quello che ci aspetteremmo di vedere su una iscrizione funebre dove invece di IMPIETATI ET MALIS ARTIBVS sarebbe normale scrivere PIETATI ET BONIS ARTIBVS. Piranesi ha qui effettuato una inversione ironica e l’ha fatto, sulla scia delle sue Lettere di Giustificazione, per motivi polemici. Gli individui sepolti in una tomba anonima in un carcere non hanno protetto le arti ed anzi, con le loro cattive azioni, le loro male arti, le hanno ostacolate ed oppresse. Per questo sono qui condannati in eterno.

É lecito pensare che nei due volti effigiati si possano riconoscere Lord Charlemont nel volto più giovanile sulla destra di chi guarda, e John Parker nel volto più maturo. Basti considerare le rimostranze di Piranesi contro Charlemont non più ritenuto ‘nato per il bene pubblico’ VTILITATI PVBLICAE NATO, come leggiamo nella dedica originaria delle Antichità Romane (fig. 9), e non più ritenuto un protettore delle arti. Piranesi nelle Antichità Romane aveva inizialmente rivolto la dedica del suo quarto volume a Charlemont ‘al generosissimo promotore delle belle arti’ BONARVM ARTIVM PROMOTORI MVNIFICENTISSIMO. Ma nella tavola XVI delle Carceri le belle arti sono diventate le male arti. E basti anche considerare i durissimi attacchi contro John Parker accusato da Piranesi di essere la causa principale del fallimento delle trattative con Charlemont per la sponsorizzazione delle Antichità Romane . Qualcosa di veramente radicale era cambiato in Piranesi se pensiamo che il primo serissimo titolo delle Antichità Romane proposto da lui a Lord Charlemont era stato: Monumenta Sepulcralia Antiqua mentre ora, in modo criptico, può trattare il tema dei sepolcri con umorismo nero.

La didascalia premonitrice della ‘Carcere oscura’ dove si parla del supplizio dei malfattori, trova nella tomba inserita per sempre in una prigione il massimo immaginabile della pena per chi non protegge le arti.

Sempre nella tavola XVI delle Carceri sulla colonna accanto alla tomba leggiamo l’iscrizione presa da Livio (1, 33, 8) AD TERROREM INCRESCEN[TIS] AVDACIAE. Questa allude al fatto che si era reso necessario costruire una prigione a Roma come deterrente della crescente ‘audacia’ (fig. 8). La scritta posta da Piranesi sulla colonna sovrastante la tomba, sembra indicare la necessità di un carcere in particolare per persone come quelle lì sepolte, vale a dire, Charlemont e Parker.

L’altra scritta su un pilastro sulla destra della tomba è formata da due righe. La superiore dice INFAME SCELUSS [sic] che si può rendere in italiano con ‘disonorevole scelleratezza’, ritengo che siano parole da attribuire allo stesso Piranesi e si adattano bene alla sua polemica con Charlemont e Parker.

Sulla riga più in basso leggiamo la citazione da Livio (1, 26, 11) [ARBO]RI INFELICI SVSPE[NDE] che si può tradurre: ’appendilo all’albero infelice’. Queste parole si riferiscono all’antica legge concernente i rei di alto tradimento. Livio ne scrive a proposito dell’eroe Orazio colpevole di perduellio, alto tradimento, per aver ucciso sua sorella che piangeva la morte del suo fidanzato Curiazio. Sul pilastro, sono usate le parole dell’antica legge pronunciate provocatoriamente dal padre dell’eroe Orazio nel tentativo di salvare e liberare suo figlio che, con le mani legate, aspetta il verdetto.

Piranesi nel suo Della Magnificenza ed Architettura de’ Romani del 1761, lo stesso anno della pubblicazione delle ultime Carceri, cita come esempio della saggezza del re Tullo Ostilio nel trattare le leggi, l’introduzione dell’ ‘appellazione al popolo’ (p. IX § VI) la provocatio ad populum, proprio per il caso dell’Orazio, per cui senza bisogno di cambiare l’antica legge, l’eroe si salva appellandosi al popolo. La legge infatti permette ad un cittadino romano di appellarsi direttamente al popolo per un giudizio finale ed a questa legge allude la scritta sul pilastro nella tavola XVI delle Carceri.

Carceri d’invenzione, particolare tavola XVI
Fig. 8 - G. B. Piranesi, Carceri d’Invenzione, particolare della tav. XVI con la tomba e le scritte latine.
Lettere di Giustificazione, Tavola VIII
Fig. 15 - G. B. Piranesi, Lettere di Giustificazione, tav. VIII, ‘Complimento al Pubblico’. Si nota sulla sinistra di chi guarda, lo stemma di Lord Charlemont in frantumi.

Sul pilastro, sotto la scritta vediamo dei personaggi in cui ci aspetteremmo di trovare un riferimento all’Orazio ed all’appello al popolo. Vediamo infatti una figura rivolta verso di noi con le mani legate, come nella descrizione che Livio fa dell’Orazio. La cosa sorprendente è che questo personaggio non è vestito all’antica, ma in abiti contemporanei a quelli di Piranesi (fig. 8). Come se Piranesi stesso avesse preso il posto dell’Orazio nell’ ‘appellazione al popolo ’ e, rivolto verso di noi, il suo pubblico, al quale alla fine dedicherà le Antichità Romane, chiedesse giustizia (fig. 15).

In questo modo Piranesi dimostra che la saggia legge romana è ancora valida e che gli è lecito servirsene per essere giustificato riguardo alle accuse ricevute e alle minacce fattegli dal governatore di Roma e dagli agenti di Charlemont che si erano spinti fino al punto di prospettargli un assassinio, cosa di cui egli si lamenta nelle Lettere di Giustificazione.

Troviamo un parallelismo tra l’Orazio che si appella al popolo nella tavola XVI delle Carceri e Piranesi che si appella al pubblico nelle sue Lettere di Giustificazione.

Infatti ritornando alle Lettere di Giustificazione, riemergono le somiglianze con le ultime Carceri che sostengono l’interpretazione qui data dell’Orazio e della provocatio ad populum. Piranesi si avvale di questa stessa legge nelle sue Lettere di Giustificazione, che precedono di poco la rielaborazione della tavola XVI delle Carceri. Così nelle Lettere Piranesi si rivolge ai suoi lettori, sostenendo di non dubitare ‘di trovar la giustizia ch’é cerca appresso al Pubblico, giustissimo estimatore delle cose’. Nelle Lettere di Giustificazione Piranesi intende chiarire ad un ampio pubblico, ora chiamato a sostituire Charlemont, sia come giudice del suo operato, sia come patrono delle arti, il motivo che l’aveva indotto a cancellare dalle Antichità Romane, come in una damnatio memoriae, le dediche in origine rivolte a Lord Charlemont e a modificare le tavole dedicatorie introducendo allusioni infamanti.

Inoltre nella tavola XVI delle Carceri la minaccia di morte, che Piranesi aveva ricevuto, è stata ritorta ed attuata contro i due individui, già identificati in Charlemont e Parker, sepolti nella tomba.

Dalle Lettere di Giustificazione come anche dall’Allocuzione che Piranesi avrebbe voluto rivolgere agli Accademici di San Luca (circa 1756-57) si capisce quanto Piranesi fosse emotivamente coinvolto in queste vicende e come si sentisse ingiustamente offeso e umiliato, svilito nel valore della sua prestigiosa opera delle Antichità Romane e addirittura privato della sua libertà creativa.

Il libello delle Lettere uscito nel febbraio 1758 viene presto sequestrato e Piranesi per ordine del governatore è obbligato a scrivere una pubblica lettera di scuse. Anche questa è un capolavoro d’ironia, ma dopo che una cinquantina di copie gli erano state rifiutate, malgrado tutto viene accettata. Piranesi la conclude con queste parole:

...non è punto in me diminuita la venerazione che fin da principio professai e sempre professerò a Mylord, e neppure la stima ed il concetto che ho avuto ed avrò sempre per il Signor Abate D. Pietro Grant e per M. Parker e per M. Murphy, a i quali oltre le loro qualità personali, basta per qualunque elogio l’onore d’essere stimati, ed amati da Mylord, ch’è un Signore così illuminato, e così buon discernitore del merito .

La lunga polemica sembrerebbe dunque portata a termine con la lettera di scuse datata 15 marzo 1758, circa due settimane dopo il sequestro del libello. Ma è nelle sue Carceri d’Invenzione che Piranesi, anche se necessariamente in modo criptico, conclude la sua atroce vendetta contro chi non l’aveva protetto nella sua produzione artistica, ma l’aveva offeso e fatto sentire piuttosto come uno schiavo.

Nella lettera inviata a Charlemont a Dublino datata 1756 leggiamo:

...son piucchè persuaso della nobiltà del di lei animo, e della generosità del suo cuore, per non immaginarmi, che ricevendo ella de’ pubblici contrassegni della mia divozione, volesse farsi, non mio protettore, ma mio padrone, e tenermi non per cliente, ma per ischiavo.


Tavola II delle Carceri

Carceri d’invenzione, Tavola II
Fig. 6 - G. B. Piranesi, Carceri d’Invenzione, tav. II.
Carceri d’invenzione particolare tav. II
Fig. 16 - G. B. Piranesi, Carceri d’Invenzione, particolare della tav. II.

Anche l’ultima tavola delle Carceri che Piranesi aggiungerà nella nuova edizione, la tavola II, la seconda dopo il frontespizio, contiene, come già detto, delle scritte latine che costituiscono la principale chiave di lettura per l’interpretazione delle nuove Carceri (fig. 6). In alto, sotto busti sepolcrali e in basso a sinistra su un pilastro sono commemorati i nomi di antichi personaggi romani. Il testo degli Annales di Tacito (XVI, 16) ne parla a proposito della congiura dei Pisoni contro Nerone, il cui volto è riconoscibile nella figura a sinistra sopra il pilastro. Tacito li cita come uomini coraggiosi, vittime di un tiranno e degni di una memoria onorevole.

Vediamo così in questa tavola, cittadini romani ai quali, come scrive Tacito, si deve una propriam memoriam. Così la buona memoria qui conservata è in forte contrasto con la cattiva memoria di individui indegni, posti nella sepoltura anonima della tavola XVI con cui si concludono le Carceri.

Mentre la parte superiore della scena nella tavola II ha perso ogni riferimento ad uno spazio chiuso con connotazioni carcerarie, la parte in basso in primo piano, mostra una scena di tortura sotto lo sguardo di persone vestite in abiti settecenteschi. Qui vediamo una figura eroica pronta a ferire l’uomo torturato sotto di lui tirato dalle corde. La cosa veramente notevole è che questo personaggio eroico, non ha in mano un pugnale per colpire la sua vittima, ma uno strumento per l’incisione (fig. 16).

Sappiamo che Piranesi anche nelle sue invenzioni fantastiche aveva degli scopi ben mirati, come spiega lui stesso nei suoi scritti, ed anche in questa tavola non è azzardato riconoscere una persona sotto tortura minacciata da uno strumento incisorio. Piranesi sta mostrando dunque lo strumento che permette a lui stesso la sua vendetta. Questa è l’arma che gli ha dato modo di difendersi dalle offese rielaborando le immagini delle sue Antichità Romane, inventando le vignette satiriche delle Lettere di Giustificazione e introducendo i suoi messaggi criptici nelle ultime Carceri. Questa è l’arma che gli ha permesso di tormentare i suoi nemici con le sue immagini satiriche e che gli permette di riscattare il suo onore e rivendicare la sua libertà creativa.


Galleria delle immagini in sezione

Continuare >>>Illuminare il segno di Piranesi: la tecnica RTI applicata alle matrici delle Carceri


Riferimenti bibliografici
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